sabato 18 luglio 2009

Intervento di Mons. Crociata alla presentazione dei “Punto Famiglia” delle Acli 12 giugno 2009


Signor presidente, Autorità, Signore e Signori

sono particolarmente lieto di partecipare all’odierno seminario sui “Punto Famiglia” promossi dalle ACLI in numerose realtà locali, segno di una concreta attenzione dell’Associazione verso questa fondamentale cellula della comunità umana. Permettete dunque che, prima di condividere con voi alcune riflessioni generali, esprima l’apprezzamento dei Vescovi italiani per questo vostro importante progetto. Delle sue caratteristiche mi piace in primo luogo sottolineare la valorizzazione e la promozione di un pieno protagonismo famigliare in ambito sociale. I “Punto Famiglia” rivelano il cuore della strategia delle ACLI in questo settore, ben espressa dalla terminologia adoperata: si tratta di opere “con e per la famiglia”, nel segno di una responsabilità partecipata e diffusa, di una sussidiarietà circolare, di un modello integrato di sviluppo.

Un ulteriore punto di forza dell’iniziativa va ravvisato nella volontà di coniugare i grandi principi della dottrina sociale cristiana con la concretezza delle proposte e dell’impegno quotidiano, l’ispirazione tipica di un’associazione cattolica con le esigenze proprie della sfera sociale e politica, l’opera di sostegno ai bisogni materiali contingenti con la promozione di una cultura e una mentalità diffusa a favore della famiglia. All’attenzione per il vostro lavoro, accompagno dunque il vivo augurio di un’ulteriore ampia diffusione dei “Punto Famiglia” su tutto il territorio nazionale e di feconde ricadute sul piano sociale ed ecclesiale. Anche la comunità cristiana, infatti, deve continuamente alimentare il proprio compito di promozione della famiglia nella sua verità e bellezza. “Questo impegno e questa testimonianza – ricordava Benedetto XVI nel suo discorso al quarto Convegno ecclesiale nazionale – fanno certamente parte di quel grande "sì" che come credenti in Cristo diciamo all’uomo amato da Dio”.

Il valore della vostra iniziativa risalta ancor più nell’attuale panorama italiano, che alcune recenti indagini vedono caratterizzato da una sorta di cecità del sistema sociale verso la famiglia (cf. CISF, Ri-conoscere la famiglia: quale valore aggiunto per la persona e la società?, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007), tanto da denunciare la sua invisibilità agli occhi dei mass media, delle istituzioni politiche ed economiche, e i tentativi di neutralizzazione della famiglia stessa, ossia di negazione e di rimozione della sua specificità, mediante un’assimilazione indifferenziata di tutte le relazioni fra gli individui. Si tratta di un’operazione indebita e assai pericolosa per lo stesso tessuto sociale. Anche solo considerata sul piano funzionale, la famiglia possiede caratteristiche non confondibili e portatrici di un consistente “valore aggiunto”. Esso attiene principalmente ai “beni relazionali” derivanti dal fare famiglia: i beni, cioè, che scaturiscono dalla particolare qualità del legame familiare e non sono producibili altrimenti. Il riferimento è, in primo luogo, a un modello di vita basato sulla fiducia e sul riconoscimento gratuito, tipico della famiglia e generatore di capitale umano e sociale primario. Tale modello è ben diverso da quelli fondati sulla negoziazione o che enfatizzano l’autorealizzazione individuale, di cui non vogliamo dare un giudizio di valore, ma riconoscerne semplicemente la radicale diversità. La famiglia è il luogo in cui viene coltivato il senso ultimo della vita umana, si promuovono i valori primari della socialità e della reciprocità, si fondano le basi delle norme di vita e si sviluppa il primo modello di bene comune. Privata di questo valore aggiunto, la società fatalmente si indebolisce e si espone al prevalere di dinamiche disgregative e di squilibrio.

In questo contesto, è paradigmatico il caso dell’educazione. Alla radice della crisi in cui versa oggi, a tutti i livelli, la responsabilità educativa dobbiamo riconoscere anche la grave e generalizzata difficoltà di dar vita e di mantenere vive nel tempo delle relazioni familiari stabili e generative. Spesso infatti assistiamo alla messa in discussione della capacità e della stessa possibilità di stabilire relazioni solide e durature fra i coniugi o di trasmettere il patrimonio etico e valoriale da una generazione all’altra. La “emergenza educativa” di cui molti e diversi interlocutori si sono fatti voce è sperimentata dalla famiglia sulla propria pelle. Essa, allo stesso tempo, costituisce il primo soggetto capace di un’inversione di tendenza, mediante una nuova fiducia nell’educazione, mediante una inedita capacità di stringere alleanze e promuovere reti in questo campo, senza rinunciare o vedere misconosciuta la propria primaria responsabilità, mediante una più forte consapevolezza del ruolo sociale, culturale ed economico proprio della famiglia stessa.

Con ciò siamo ben lontani dagli eccessi di una idealizzazione dell’istituzione familiare. La famiglia è un corpo vivo della società e risponde alle sue esigenze; non si tratta di una realtà immobile ed esente da tensioni e conflitti. È quindi inutile e fuorviante mitizzare la famiglia del passato e rimpiangere «i bei tempi antichi». D’altra parte, però, è altrettanto deviante, al fine di una soluzione dei problemi dell’oggi, snaturare o negare la specificità della famiglia e delle sue problematiche. Non solo la famiglia, ma l’intera società paga, ad esempio, il rilievo quasi esclusivo che la cultura attuale dà agli aspetti emotivi della relazione, lasciando sullo sfondo altri aspetti svalutati come puramente formali. L’odierna e positiva sensibilità per l’autenticità dei rapporti non può escludere, anzi deve richiedere, una continua cura dei legami anche in senso etico e sociale. Le relazioni familiari, mal sopportate da una mentalità fortemente individualistica, costituiscono la trama invisibile ma essenziale della vita e della sua qualità. L’aspetto di vincolo e di responsabilità che esse portano con sé costituiscono in realtà una risorsa e un bene da preservare e irrobustire. Lo esprimeva con grande chiarezza ed efficacia Benedetto XVI il 6 giugno 2005, aprendo il Convegno della diocesi di Roma su famiglia e comunità cristiana. Ecco le sue parole: «In concreto, il “sì” personale e reciproco dell’uomo e della donna dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e al tempo stesso è destinato al dono di una nuova vita. Perciò questo “sì” personale non può non essere un “sì” anche pubblicamente responsabile, con il quale i coniugi assumono la responsabilità pubblica della fedeltà. Nessuno di noi infatti appartiene esclusivamente a se stesso: pertanto ciascuno è chiamato ad assumere nel più intimo di sé la propria responsabilità pubblica. Il matrimonio come istituzione non è quindi una indebita ingerenza della società o dell’autorità, l’imposizione di una forma dal di fuori; è invece esigenza intrinseca del patto dell’amore coniugale». Il legame familiare costituisce, dunque, la nostra stessa identità. Per questo è così importante e meritevole, sia da un punto di vista etico-culturale che da quello sociale e politico sostenerlo, accompagnare le famiglie in ogni stagione della loro vita e in modo particolare nei passaggi critici che sopravvengono.

Come abbiamo avuto modo, ancora in questi ultimi giorni, di ribadire, stiamo attraversando, infatti, una fase complessa della vita del nostro Paese, segnata da intensi e rapidi mutamenti, da una sfavorevole congiuntura economica e finanziaria internazionale e dalle sue conseguenze sul tessuto sociale, che mettono a dura prova il welfare e ricadono in misura prevalente sulle fasce più deboli della popolazione. Chi fa le spese di questa stagione critica è in particolare quella parte della popolazione che già prima era in sofferenza per una cronica ristrettezza economica. Ci troviamo di fronte a uno scenario economico che esige «una revisione profonda del modello di sviluppo dominante per correggerlo in modo concertato ed illuminante», come ha puntualmente suggerito Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2009. Tutti avvertiamo l’esigenza di una prossimità ancora più concreta fra le persone e le comunità, capace anche di introdurre modelli nuovi di solidarietà e di progettazione sociale. La Chiesa si è da tempo interrogata e mobilitata per fronteggiare le difficoltà emergenti soprattutto nel mondo del lavoro. Molteplici iniziative sono state promosse in tutto il territorio nazionale dalle Diocesi e dalle Conferenze Episcopali Regionali e, come sapete, la Conferenza Episcopale Italiana ha stabilito di costituire un fondo di garanzia per le famiglie numerose in difficoltà, denominato il “Prestito della Speranza”. Di fatto sono molte le famiglie già entrate in una fase critica, con ripercussioni gravi sul fronte degli affitti, dei mutui o dei debiti comunque contratti. In particolare, destinatarie sono le famiglie con tre figli a carico oppure segnate da situazioni di grave malattia o disabilità, che hanno perso l’unica fonte di reddito.

Ciò che preme a noi Vescovi è soprattutto promuovere un’azione solidale che dia voce al disagio alimentando allo stesso tempo la speranza. Ci muove inoltre l’intento di richiamare l’attenzione di tutti sul rischio, connesso ai fenomeni che stiamo vivendo, di una involuzione antropologica ed etica. L’intervento promosso dalla CEI è il segno della vitalità delle nostre comunità cristiane che, radicate nella carità, sanno esprimere solidarietà a chi ha più bisogno di aiuto, mobilitandosi in maniera straordinaria e commovente di fronte a eventi drammatici, come nel caso del recente terremoto in Abruzzo. Si tratta di una scelta che manifesta, tra l’altro, una precisa visione della società, nella quale la famiglia è riconosciuta come il principale fattore di integrazione, di umanizzazione e di sviluppo. Essa non costituisce soltanto un efficace e insostituibile ammortizzatore sociale, ma ancor prima la trama relazionale necessaria per un armonico sviluppo della persona e dunque della società. La colletta nazionale promossa a tale scopo, il 31 maggio scorso, in tutte le Diocesi italiane ha avuto, da questo punto di vista, un indubbio valore pedagogico ed è indice di una sensibilità che auspichiamo si diffonda ulteriormente.

Le iniziative messe in campo dalle Diocesi negli ultimi tempi, e lo stesso progetto dei “Punto famiglia” istituiti dalle ACLI, sono forme nuove di prossimità, che si aggiungono ai numerosi servizi stabili, come i centri di ascolto, i fondi antiusura, il volontariato educativo e assistenziale, il microcredito, le iniziative di accoglienza, consulenza e affiancamento, che da anni vedono impegnate le comunità cristiane e costituiscono un punto di riferimento riconosciuto nel panorama sociale. In esse si rivela il volto autentico del nostro Paese; non hanno la pretesa di risolvere i problemi dell’ora presente, ma nutrono l’ambizione di fermentare ulteriormente la società civile e richiamare il livello politico e istituzionale alle proprie responsabilità. Un welfare più amico della famiglia, attuato con il riconosciuto protagonismo delle famiglie stesse: questo è il motore possibile della ripresa e dell’innovazione sociale.

Desidero concludere il mio intervento rinnovando l’augurio e l’attestazione dell’attenzione partecipe della nostra Chiesa. In un momento come l’attuale, che ci stimola a fronteggiare con creatività e coraggio le necessità del presente, abbiamo bisogno di segnali che ci aiutino a orientare il nostro impegno per il futuro, favorendo l’incontro positivo tra le generazioni e aiutando le nostre comunità a elaborare una nuova cultura della condivisione, indispensabile premessa e fondamento di uno sviluppo autenticamente tale, del cui cantiere la famiglia è parte naturale e insostituibile.

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